PARROCCHIA DI MUSILE
PARROCCHIA DI MUSILE DI PIAVE (836 – 1924)
Mons. Prof. Sac. Costante Chimenton -Treviso 1924
La Chiesa di S. Donato in Musile Sul Piave
E Ruinis Pulchriores:
La Chiesa di S. Donato
in Musile Sul Piave
A Don Giovanni Tisatto
Parroco di Musile
Sommario: - 1. L'antica Villa di Musile. - 2. La Chiesa e il campanile di S. Donato di Musile prima della guerra: sua descrizione e bellezza artistica. - 3. Opere di finimento e corredo liturgico. - 4. La partenza del parroco: la cura spirituale affidata al Vicario Don Pasin. - 5. Il martirio di Musile. - 6. Lo sgombero definitivo del paese: profughi a Sant' Elena sul Sile. - 7. Le peregrinazioni dei profughi e la loro definitiva sistemazione. - 8. L' Opera di assistenza. - 9. Le azioni belliche in Musile e Caposile. - 10. La distruzione di Musile. - 11. Il ritorno del parroco e dei profughi. 12. La Chiesa-baracca e il ripristino del culto in Musile e Caposile - 13. La perizia dei danni e le prime pratiche per ottenere la ricostruzione degli edifici sacri. - 14. La ricostru-zione affidata al Commissariato di Treviso - 15. Inaugurazione della Chiesa. -16. I nuovi edifici sacri. - 17. Le nuove Campane. - 18. L'altare Maggiore. - 19. Danni ai beni mobili. – 20. La consacrazione della nuova Chiesa. - 21. Il nuovo asilo e la nuova sala per gli interessi cattolici – 22. La nuova Canonica – 23. L’Oratorio di Caposile.
1.- La “Villa Sancti Donati de Musili" fin dal 1186 si annoverava, con tutte le sue pertinenze fino al mare, sotto la giurisdizione del Vescovado di Torcello; ma il suo nome è anteriore a quest'epoca: in un documento dell'836, dove si parla di antichi possedimenti da proprietari in quella zona, si dice: "damus terram in ripa Plavis usque ad Musile". - Nelle Collette di Curia, Musile apparisce, nel 1330, Chiesa dipendente dall' Arcipretale di Noventa: il parroco di Noventa la resse per vari secoli e mandava sul luogo, per il servizio religioso, il suo cappellano. - Come Villa, soggetta all' onere del quartese, è inscritta in un documento del 1495, e con tale onere è associata alle Ville di Fossalta, Villarotta, Croce e Capodargine: pure in questo documento è sempre spiritualmente alla dipendenza dal pievano di Noventa che ne godeva il beneficio. - Nel 1513 le salme si tumulavano ancora nel cimitero di Noventa; soltanto nel 1554, essendo ormai San Donà di Piave costituito in parrocchia, Musile, come più vicina, si considerò filiale di San Donà, e a questa Chiesa accedeva per i battesimi e per riavere gli Olî Santi; nel 1587, forse per rivendicare a sé una prima indipendenza, si dichiarava suddita di Noventa e non di San Donà, e obbligata a nessun ossequio sinodale verso altre Chiese. Fu questo, a quanto risulta dai documenti curiali, il primo passo verso un'indipendenza assoluta, che si voleva giustificare per necessità locali, e per distanze non indifferenti: la sua audacia però fu scontata con una multa di 100 franchi!
Il territorio di Musile fu soggetto a fortissime modificazioni per opera del Piave, le cui acque abbondanti e non arginate devastarono così spesso le sue campagne. Costruita l'arginatura del fiume, le campagne di Musile furono rimesse all’agricoltura per opera dei nobili veneziani Paravia, Perazzi, e, in modo speciale, Malipiero: questi ultimi reclamarono un Sacerdote stabile sul luogo e si impegnarono a provvedere la Villa di Chiesa e prebenda, riservando a sé il jus electionis. - E il Sacerdote fu concesso; ma la piccola cappella non fu restaurata: nella visita pastorale del 1607 si constatò che "il Tabernacolo era consunto per vetustà; che la canonica di legno era coperta di paglia, e che la distanza massima dalla cappella ai confini era di 8 Km"; nel 1635 " fu trovato che la sagrestia era indecente; che la pala dell'Altare era tinta; la pisside capace d'appena trenta particole; il beneficio privo di rendite". Una vera miseria, in una parola, favorita da questi, nobili veneziani che spesso si servivano del Sacerdote come di uno strumento per tenere a freno le popolazioni, oppresse sotto il peso di un servilismo cieco, fomentato talora da una ignoranza incosciente e superstiziosa; vera miseria aumentata nel 1664, quando un nuovo allagamento del Piave distrusse la povera Chiesa e disperse tutti gli strumenti di un beneficio poco fortunato. - Rifabbricata la Chiesa nel 1665, presso 1' argine del Piave, nella stessa località, fu consacrata il giorno 8 Settembre 1726; soltanto nel 1882, dopo la piena del fiume, si pensò finalmente a provvedere, di una nuova località la nuova Chiesa parrocchiale, che avrebbe dovuto sorgere a Musile bella ed artistica, degna di simboleggiare la fede di un popolo credente e geloso delle sue tradizioni cristiane.
Il titolare San Donato, e l’appellativo “al di qua del Piave - Villa seu Ecclesia Sancti Donati Plavis, vocati Musil” fanno conoscere l'appartenenza della Villa, nella sua parte principale, alla Gastaldia di S. Donato e alla sua antichissima pieve, ricordata negli atti curiali fino al tempo di Liutprando. - Si ricorda pure in Musile, sino al 1112, un ospizio con un altro titolo "Sancti Leonardi confessoris", il santo tanto venerato dal monachismo d'occidente; 1' ospizio era stato posto con il consenso del Vescovo di Equilio per istanze rivoltegli dai Nagatello da Vidor; 1'ospizio teneva la sua Chiesa, e il territorio di S. Leonardo alla Torre del Caligo segnò, fino al 1440, il confine fra le Diocesi di Treviso e di Jesulo, quando quest'ultima fu incorporata alla Diocesi di Torcello.
È da ricordarsi che il nome di questa Villa nei libri del Comune di Treviso si scriveva Muxilli: in Treviso abitava un notaro che teneva in fittanza dal Comune l'erbatico di Musile : "Morandus de Fraporta (odierna Via Pancera) habet hebram de Muxilli". - Un altro ricordo storico: si ritiene che Musile non fosse lontano dal famoso fines, che nel medio evo ebbe una così grande importanza: oggi non si conosce più, con precisione almeno, la sua antica posizione. - Non è fuor di proposito, in fine, 1'opinione di chi ritiene che presso Musile passasse una strada romana che congiungeva il vecchio Altino con Aquileia, centro di vita militare e commerciale.
Il titolare S. Donato Martire, Vescovo d' Arezzo, la cui festa si celebra il 7 agosto, sebbene risalga ai primi Dogi veneti, non deve essere confuso con S. Donato Vescovo e confessore, festeggiato nel medesimo giorno in Murano, e che qualche storico ritenne come trasportato da Ottone III. - Con tale titolo, che maggiormente risponde alla critica storica, fu riconsacrata nel 1923 la nuova Chiesa di Musile, rifabbricata sulle rovine di quella pur bella esistente prima della guerra, e sullo stesso disegno leggermente modificato per esigenze artistiche e liturgiche.
Il giuspatronato laicale, per successione ai patrizi veneti Malipiero, Morosini e Tiepolo, è oggi tenuto dal Conte Dott. Enrico Passi, in unione al Vescovo di Treviso, avendo altri interessati declinato gli onori e gli oneri inerenti a tale esercizio.
2. - La Chiesa di Musile, di stile gotico italiano, con tre navate, era di recente costruzione: su disegno dell'ingegn. Giuseppe Sicher, era stata ultimata, nelle sue opere di finimento, nel 1910.
I muri della navata centrale erano sostenuti da cinque archi gotici, portati da colonne in pietra di Chiampo, con basi e capitelli in pietra di Aviano; quelli trasversali delle navate laterali, da archi pure gotici impostati sulle colonne precedenti e su lesene, addossate ai muri di ambito. - L'arco fra la navata centrale e il presbiterio, della luce di m. 5.50, era impostato due metri circa più alto degli archi precedenti ed era pure gotico; identico a questo, l'arco fra il presbiterio e l'abside.
Il soffitto del presbiterio era a crocera, come pure a crocera i soffitti in ogni campata delle navi minori; nella nave principale invece il soffitto, ad una altezza dal pavimento della Chiesa di metri 14, era a cassettoni in legname e stucco, con fondi a tinte forti e dorature, come esige lo stile. - L'abside, a pianta poligonale, presentava cinque faccie, con cinque finestre ogivali a ferritoia, guardate da inferriata e da tela a rete metallica. In corrispondenza d'ogni vertice dell' abside e ai quattro angoli del presbiterio, si trovavano delle lesene con relativi capitelli che arrivavano all'altezza dell'imposta degli archi del presbiterio e formavano, la continuazione dei costoloni ogivali del soffitto, del presbiterio e dell'abside stesso.
Il pavimento della Chiesa era rialzato dal piano di campagna di quattro gradini, in piastrelle di cemento, imitanti il Chiampo bianco e rosso; il pavimento del presbiterio e del coro era rialzato, rispetto a quello della Chiesa, di due gradini, ed era uguale al precedente.
L'intonaco era tirato a fino decorato, nello spessore dell'arco, con tinte forti al modo del soffitto. Tutto il rimanente era tinteggiato a calce; le volte a crocera delle navi minori avevano nervature agli angoli in stucco e corrispondentemente dei capitellini pensili; la volta a crocera sopra il presbiterio era con maggior ricchezza decorata con nervature in stucco e decorazioni a tempera; con uguale ricchezza era decorata la volta del coro. Le lesene corrispondenti alle colonne delle navi minori e quelle reggenti gli archi del presbiterio e del coro erano a marmorino imitante il Chiampo.
Il battistero, formato da una pila di rosso di Verona, su colonnina in marmo bianco e cuspide di copertura in legno dipinto, era sormontato dalla statuetta rappresentante S. Giovanni: era chiuso da una balaustra in legno dipinto a finto bronzo. - I due altari dedicati a Sant'Antonio e a S. Valentino erano in pietra di Aviano, con colonne in marmo rosso e pala su tela ad olio; l'altare della Madonna con statua in stucco dipinto in nembro bianco, con colonne di Bardoglio fiorito; l'altare di S. Giuseppe in pietra di Pove, colonne di marmo nero di Varemo, capitelli corinzi, decorazioni con figure e rimessi di vari marmi colorati. - I gradini della predella dell'Altare Maggiore in pietra di Pove; il parapetto della mensa in marmo di Carrara con rimessi di marmi colorati; la custodia in marmo di Carrara con rimessature; il tronetto in legno.
Gli stalli del presbiterio, di un'ampiezza sufficiente a contenere sei persone ognuno, e le cattedre per il clero, erano lavorale in stile gotico, in legno di noce scolpito.
La facciata si presentava con la linea caratteristica delle Chiese a tre navate, in stile gotico, con muratura a faccia vista di mattoni. Gli angoli e il muro della nave maggiore erano rilevati esternamente con quattro lesene terminanti in quattro guglie. La cornice di coronamento era sostenuta da archetti ogivali in cotto; altra guglia esisteva in corrispondenza al vertice del timpano centrale della facciata. Nel mezzo, un portale eseguito parte in cotto e parte in pietra viva l'ogivale sopra la porta, era decorato con un pannello mosaico rappresentante il santo Patrono.
Il campanile era alto m. 52: la sua linea graziosa ed elegante era costituita da uno stilobate di m. 5. d'altezza, dei quali m. 3.50 in cotto e m. 1.50 in vivo, terminante in una cornice pure in vivo. La canna con lesene agli angoli e nel mezzo, alta circa 22 m.,coronata da una ricca cornice in pietra, sostenuta dalle lesene e da archetti pensili, era sormontata dalla cella e da una svelta cuspide. Sotto la cornice di coronamento della canna era posto il quadrante dell' orologio. La cella campanaria e la cuspide svolgevano un bel motivo gotico, con una bifora su ognuno dei lati, coronata da un frontone ogivale con gusto nordico; sopra tali frontoni si ergeva la cuspide ottagona, in cotto stilato, con croce in ferro terminale. - La cella campanaria e la cuspide avevano un'altezza di m. 25.
3. - Fra le opere di finimento e di corredo, che rendevano più bella la artistica Chiesa di Musile, ricordiamo la cantoria in legno sostenuta da un' armatura in ferro e situata sopra la parte principale; l’organo, a 14 registri, fornito dalla rinomata Ditta Mascioni di Milano; il pulpito in legno d' abete macchiato a finto noce; 2 confessionali e 36 banchi, pure in legno di abete; 30 panchine e 200 sedie comuni; 2 lampade a bracciale, pensili, nel coro, e 3 lampade, più piccole, ma bellissime e intonate allo stile della Chiesa, per ogni altare laterale.
A tutto ciò si deve aggiungere un abbondante e ricco corredo sacro: fra gli apparamenti sacri si conservava, come vero capolavoro, un antico paramento bianco lavorato in oro e in fiori di seta; tre calici, un ostensorio, tre pissidi, un turibolo con navetta, e un' artistica croce parrocchiale, tutto in argento. - Prezioso corredo, in una parola, che la fede del buon popolo di Musile con le sue generose offerte aveva aggiunto al ricchissimo corredo liturgico che rendeva grandiose le pubbliche manifestazioni: specialmente negli ultimi anni che precedettero la guerra, Musile ebbe sempre la nobile ambizione di non essere in nessuna cosa, per ciò che riguarda la Chiesa, inferiore al vicino S. Donà di Piave.
Altre opere, si sarebbero condotte a termine in Musile, - un Asilo necessario per raccogliere i bambini, e una vasta sala per l'educazione religiosa, - se la guerra non avesse sospeso la vita, e ritardato per dieci anni l'attuazione di opere così interessanti.- Ritardato, ma non fatto dimenticare: appena Musile, dopo la guerra, avrà ripreso il suo stato normale, appena la vita sarà riapparsa là dove la morte e la distruzione imperarono sovrane per un anno intero, gl'ideali del parroco e del popolo saranno realizzati: oggi mentre scriviamo questa memoria, essi sono ormai fatto compiuto.
4. - Il 30 Luglio 1916 Don Giovanni Tisatto, già parroco in Musile fin dal 15 febbraio 1910, abbandonò il paese: salutati i suoi parrocchiani, indossò la divisa del soldato e si dileguò nel gran vortice della guerra. - La cura spirituale fu affidata a Don Ferdinando Pasin, in quel tempo cappellano in Noventa di Piave. - In servizio da prima presso l'ospedale G. Pascoli in Bologna; più tardi, dall'Ottobre 1916, presso l'ospedale di Tappa di Meolo, Don Tisatto con la sua affabilità e genialità si acquistò le simpatie dei superiori e specialmente dei mutilati, alla cui assistenza fu sempre dedicato. Testimone di tante lagrime, a contatto con tante sofferenze, non dimenticò mai la sua Musile: con lettere frequenti e, da Meolo, con frequenti visite, concessegli dagli stessi superiori in premio della sua attività e del suo spirito di sacrificio, si tenne sempre in corrispondenza con tutti i suoi parrocchiani, partecipò a tutte le loro sofferenze, condivise, specialmente con i suoi figli soldati, le ansie e i timori. Lui stesso in una sua relazione inviata alla Curia, descrive la vita della sua parrocchia prima della disfatta di Caporetto: «Feci una scappatina fino a Musile: la mia canonica è cambiata in ufficio informazioni, in deposito di bagagli. Persone di tutti i paesi vicini si portano dal mio Vicario per avere notizie di parenti prigionieri di guerra, e spedire ad essi viveri ed indumenti. Centinaia di cestini e di pacchi partono ogni settimana per mezzo di Don Pasin, e centinaia di corrispondenze assicurano che il materiale è giunto a destinazione. - A quest'opera di carità cristiana e altamente patriottica, D. Pasin aggiunge la cura più assidua alle anime: la dottrina quotidiana ai fanciulli anche nelle frazioni lontanissime di Caposile e Salsi ; scuola di musica; circoli maschili e femminili; la consacrazione delle famiglie al Cuore di Gesù e l'opera della Santa Infanzia; la devozione alla Vergine di Pompei; frequenti pellegrinaggi ai Santuari di Motta, di Pralungo . . . Quanta buona semente e quanta messe troverò dopo la guerra, quando potrò ritornare fra i miei figli spirituali!»
Tante opere e tanti sogni furono schiantati improvvisamente. - Successo il disastro di Caporetto, l'ospedale di Tappa di Meolo ricevette l'ordine della partenza: il 30 Ottobre Don Tisatto consegnò al suo Vicario le cose più intime della parrocchia, e, abbracciatolo tra le lagrime, lo pregò di essere ultimo ad allontanarsi dal paese: prima si provvedesse alla sicurezza del popolo, alla difesa, quanto era possibile, della Chiesa, al trasporto, in modo speciale, degli ammalati e dei bambini. - E Don Pasin fu fedele alla consegna; vorremmo dire troppo fedele: se non fu vittima del suo entusiasmo, del suo spirito di sacrificio, se fu risparmiato dalla morie, dobbiamo riconoscere che una mano benigna lo protesse in premio del suo lavoro e della sua abnegazione.
È una bella pagina di storia che scriviamo; la scriviamo con vera compiacenza: è documento di quanto ha saputo fare il Sacerdote a vantaggio di quel popolo, che fu troppo abbandonato in quelle tristissime giornate di Ottobre e Novembre del 1917; è documento che giustifica l'affetto che il popolo, nel Veneto, ha verso il Sacerdote, che si moltiplica in tutti i modi per il benessere spirituale e materiale.
5. - Un po' di cronistoria - Il giorno 3 Novembre partono, spinti dalle notizie sempre più minacciose dell'arrivo sul Piave degli Austriaci, i primi profughi: sulla piazza di Musile, nelle campagne di Case Bianche, presso Caposile sono ormai piazzate le nostre artiglierie di difesa; lungo l'argine di S. Marco batterie di mitragliatrici, comandate da ufficiali giovanissimi, e maneggiate dai più giovani soldati del nostro esercito, si assestano in attesa del nemico che non può ritardare. Il popolo, la grande maggioranza, decide di fermarsi: a Musile, per le campagne e attorno alle case, è un lavorare incessante per lo scavo di vaste trincee, richieste per accogliere soldati e borghesi. - Il giorno 7 Novembre la Chiesa, d'ordine dell'Autorità Militare, è occupata da un Reggimento di Milizia Territoriale. Il Vicario non è stato informato del provvedimento: D. Pasin in quel momento era assente, in località ai Salsi, al capezzale di un moribondo, Gerardo Bregantin, fabbricere di Musile. Necessità impellenti esigevano l'occupazione; ma crediamo non si possa giustificare il fatto che la porta d'ingresso fu violentemente abbattuta ed infranta! La Chiesa fu trasformata in Caserma e, più tardi, in deposito per viveri e munizioni. Per buona sorte il SSmo era stato consumato al mattino. Dobbiamo anche riconoscere che nessuno sfregio fu arrecato dai soldati a quell'edificio sacro; non possiamo però non biasimare il contegno di alcuni ufficiali: in coro, e perfino sopra 1' Altare Maggiore, furono trovati dal Sacerdote tutti intenti alla toeletta e a radersi la barba e a fumare tranquillamente la sigaretta. Il Sacerdote presentò al Comando del Reggimento le sue proteste, e i colpevoli furono richiamati al dovere.
Il giorno 8 Novembre fu demolito il ponte sul Piave di S. Donà: i nemici erano ormai vicini e il passaggio dei profughi fu sospeso. La scena che si svolse sulla riva sinistra del Piave, quando ogni via di scampo fu interrotta, ha del terrorizzante: i primi arrivati a Musile, a piedi, sfiniti dal viaggio, oppressi dallo spavento, in gran parte privi del necessario per la vita, si videro strappati ai loro fianchi i loro cari che rimanevano in balia del nemico, veramente furente contro i nostri. --I1 giorno 3 D. Pasin è obbligato ad abbandonare definitivamente la canonica, occupata dai soldati e da un nuovo Comando: trovò ospitalità presso la famiglia Callegher Celeste, in riva al Piave Vecchio, fra Musile e Caposile, dove pure potè trasportare tutto l'Archivio parrocchiale: il personale di servizio di casa canonica era già partito, per Sant' Elena sul Sile, sino dal giorno 6 Novembre. - E così dal 10 al 14 Novembre servì in Musile, come luogo di culto, il granaio di casa Callegher: sopra la pietra sacra, levata dall'Altare Maggiore, fu celebrata la Messa. - Più tardi questa pietra sacra, rinchiusa in apposita cassa con tutto l'Archivio parrocchiale, fu da Don Pasin affidata in custodia al Vicario di Sant'Elena Don Carlo Noè. - Nel maggio 1918 detto archivio sarà dal parroco Don Tisatto trasportato a San Remo, e D. Pasin, pregato in quell'epoca dal Cav. Giuseppe Bortolotto, Commissario Prefettizio del Municipio di Musile, che teneva i suoi uffici in Firenze, Via Vecchiotti, N. 3 bis,. fornirà, servendosi dell'Archivio parrocchiale un'anagrafe, copia conforme, della popolazione di quel paese disgraziato, all'autorità municipale che aveva perduto gran parte del suo Archivio; notificherà anche gli elenchi precisi dei profughi dispersi nelle varie località. - Compenso di un lavoro lunghissimo e paziente e che, di più, costò la bella spesa di centinaia di lire in ricerche telegrafiche, Don Pasin avrà la cospicua somma dì Lire 150!....
I1 14 Novembre D. Pasin fu scacciato dalla famiglia Callegher: un ufficiale di sanità, con la rivoltella alla mano, gli impose di partire immediatamente da Musile, e di trasportare con sé tutto il popolo rimasto, più di 500 persone. Furono inutili le proteste del Sacerdote, che, se assicurava il suo intervento per ottenere lo sgombro immediato del paese, dichiarava però che non sarebbe partito, se non quando si fosse provveduto al trasporto di tre moribondi, bisognosi di assistenza. Le giuste ragioni del Sacerdote non valsero: fu gettato nella strada; ed allora, per quattro giorni, fino al 18 Novembre, una trincea improvvisata presso la famiglia Casagrande Augusto, fu la sua casa e la sua Chiesa. Il giorno 16 le granate che tempestavano la zona, caddero numerose attorno a quella trincea, mentre il Sacerdote "celebrava la S. Messa: una ventina di bambini, inginocchiati in quella trincea, più umile della grotta di Betlem, pregavano trepidanti, stretti attorno al celebrante: in quella circostanza nessuna vittima si ebbe da lamentare.
6. - Le famiglie rimasero ancora in Musile fino al 18 Novembre; in questo giorno soltanto fu ufficialmente imposto lo sgombero del paese. La signorina Pavanetto Ines, figlia della guardia Municipale di Musile, quasi morente, accompagnata dai genitori, fu trasportata, adagiata sul suo letto e sopra un carro, fino a Sant' Elena, dove fu accolta in casa canonica in compagnia di Montagner Emma di Angelo: prodigiosamente salvata dall'infuriare delle granate, mentre il Sacerdote le amministrava 1' Olio Santo, il 14 Novembre 1917, oggi rimessa in piena salute, e già sposa di Iseppi Giovanni, conserverà impressa nella sua mente la tragica scena del suo salvamento, dovuta in gran parte ad un Sacerdote. - I profughi, accompagnati sempre da D. Pasin, trasportarono le loro povere masserizie su carri trascinati da qualche animale non ancora requisito e rimasto illeso dalle granate che avevano ormai demolito tante case. - Fu straziante la partenza; resa più straziante dal fatto che gravi disgrazie erano successe in quei giorni, e la partenza si presentava pericolosissima.
Nel pomeriggio infatti del 15 Novembre 1917 il Sacerdote, chiamato a Caposile per 1' assistenza d' una inferma, era stato travolto e sbattuto a terra dallo scoppio di una granata nemica. - 11 16 Novembre poi era stato ferito, dalle scheggie di una granata, il bambino Pelizzer Romano: il Sacerdote era corso sul luogo. La casa Pelizzer era stata presa di mira dagli austriaci: una cinquantina di granate piovvero attorno a quel fabbricato, ma non lo colpirono. Al povero ragazzo furono amministrati tutti i conforti Religiosi; alle cinquanta persone rinchiuse in quella casa fu impartita 1'assoluzione; si attendeva ad ogni scoppio di granata la morte: una carneficina, un massacro completo.
Dopo alcune ore di bombardamento, cessò la tempesta; il ferito, col fianco squarciato, fu trasportato al posto di pronto soccorso: inviato all'Ospedale militare di Mogliano Veneto, appena giunto cessò di vivere.
La notte del 17 al 18 Novembre fu pure una notte di trepidazione. - Le famiglie erano divise per gruppi; e Don Pasin si ricoverò nella stalla del colono Pasqual Luigi, con una ottantina di persone, fra cui più di quaranta bambini: le granate anche quella notte tempestarono Musile. - La colonna di profughi passò, di buon mattino verso le 6, e sotto l'infuriare delle granate, lungo la via, poco adatta, ma unica libera dall'allagamento, e fissata dalla autorità militare, che da Musile sbocca sull'argine di S. Marco dinanzi alla famiglia Casonato - a 300 metri dal nemico - fino a Croce di Piave, per proseguire poi verso Meolo: durante questo esodo traziante, compiuto fra il pianto dei bambini e delle donne, si registrarono disgrazie: tre fanciulle furono leggermente ferite alle gambe e sul petto; una mucca, gravemente colpita, fu poi venduta a buon prezzo a Losson di Meolo.
Si sostò a Meolo il 19 Novembre. Alcune famiglie poterono partire con la ferrovia alla volta di Mestre, e poi trovare ospitalità in varie località d' Italia; il grosso dei profughi volle avanzare verso Treviso, conducendo con sé le povere masserizie e il bestiame: il sacerdote preferì rimanere con questi ultimi per accompagnarli nel loro doloroso pellegrinaggio. - Durante la tappa di Meolo si lamentarono grave disgrazie: Iseffi Maria, nata Grandin, gravemente ferita da una scheggia di granata, morì fra gli spasimi più atroci; Trevisiol Carlotta, nata Montagner, fu pure gravemente ferita e mutilata ad una mascella; due ragazzi e una donna, Montagner Carlotta, furono pure feriti in seguito allo scoppio di quella granata. - Il 20 Novembre, anche con l'aiuto di Don Carlo Noè, che tanto interesse addimostrò per i profughi e per il sacerdote che li accompagnava, le famiglie di Musile furono ospitate presso i buoni contadini di Sant' Elena sul Sile, e in qualche palazzo signorile, rimasto abbandonato dai ricchi proprietari, già partiti da vari giorni.
A Sant'Elena i profughi di Musile, poterono soffermarsi tranquilli fino all'Epifania del 1918; benemeriti per l'opera d'assistenza furono il Colonn. comandante la stazione di Tappa di Roncade, il Comm. Giordani e D. Antonio D'Incau, attuale Arciprete di Melma: da questi due ultimi in modo speciale Don Pasin ebbe sempre, a vantaggio dei suoi profughi, le derrate necessarie e i sussidi per i bisogni più urgenti per la vita. - Nessun incidente in questa lunga tappa: unico incidente, il giorno 8 Dicembre 1917, il Vicario D. Carlo Noè fu arrestato in Chiesa sotto la solita accusa di disfattismo, - vecchia antifona cui oggi la storia fece giustizia assoluta - e trasportato alle carceri: Don Pasin si trovò improvvisamente Vicario di una parrocchia nuova e Vicario dei profughi, sempre più bisognosi di soccorsi, da quando le poche masserizie trasportate erano state rese inservibili.
7. - L'ordine della partenza fu impartito il 5 Gennaio 1918.- Per quale destinazione? Nessuno lo sapeva! Don Pasin, presi accordi con il Comando dei R R. Carabinieri, chiese di diportarsi a Roma, per ottenere, dall'Alto Commissariato per i profughi, preventivamente alloggi convenienti: l'istanza fu accolta, e la partenza fu differita al ritorno del Sacerdote. I patti conchiusi fra D. Pasin e i R R. Carabinieri furono notificati ai profughi, i quali in quei tre giorni disposero ogni cosa, per essere poi pronti alla partenza al primo ritorno del Sacerdote che li avrebbe accompagnati fino alla nuova destinazione.
Per interessamento dell’On. Girolamo Marcello, Don Pasin ottenne dall'Alto Commissariato di Roma che i profughi fossero destinati a Bagni di Lucca; un telegramma di Stato informò della cosa i R R. Carabinieri di Sant'Elena: D. Pasin era ufficialmente delegato per l'accompagnamento e la sistemazione delle famiglie di Musile. Ma i patti verbalmente conchiusi e il tenore del telegramma non furono rispettati: i profughi furono fatti partire violentemente e senza ordine; le famiglie disperse e separate nei loro stessi membri, e nella grande maggioranza non inviate a Bagni di Lucca. - Il popolo oppose resistenza ad una partenza che riteneva illegale ed arbitraria: D. Pasin, che ancora stava a Roma, viene denunziato come sovvertitore e minacciato di arresto se fosse ritornato a Sant'Elena! - Il Sacerdote, giunto a Treviso, viene a conoscenza della montatura, riprende la via di Roma, e dall' On. G. Marcello e dal Ministero apprende che, secondo le disposizioni impartite, i profughi di Musile dovevano essere pervenuti a Bagni di Lucca. - Ma a Bagni di Lucca non erano giunte che poche famiglie: la grande maggioranza erano stati dispersi nell'Italia Meridionale. Don Pasin dovette ricercare i suoi profughi a Napoli, a Salerno, a Sarno, a Cava dei Tirreni, ad Aversa: i profughi non attesi e giunti contro ogni disposizione, furono ricoverati alla rinfusa nelle stamberghe, nelle stalle, nei fienili, perfino nelle celle carcerarie; dopo lunghe pratiche, sostenuto da S. Ecc. Luigi Luzzati, e dal Pref. di Treviso, Comm. Bardesono, fu possibile a Don Pasin levare da tanta miseria e trasportare a Bagni almeno i più bisognosi di cambio.
A Bagni di Lucca, con il concorso di un'ottima signora americana, D. Pasin potè aprire un asilo per i bambini e un laboratorio per le ragazze. In quest'opera di ricostruzione spirituale il Vicario di Musile trovò pure valido appoggio nei due parroci di quella gentile cittadina toscana.
Gli altri profughi dell'Italia meridionale furono in parte trasferiti in provincia d'Alessandria; una cinquantina di famiglie furono, in quella provincia, adibite al lavoro della campagna; e dalla stampa di Torino e d'Alessandria la colonia agricola di Musile meritò i più caldi elogi per l'esempio di parsimonia e di laboriosità. - In questo lavoro di racimolamento, D. Pasin ebbe un valido appoggio dagli On. Marcello e Sandrini, come pure dal Consorzio d'Emigrazione e Lavoro di Roma e dal Comizio Agrario d'Alessandria, con i quali uffici D. Pasin fu sempre in ottimi rapporti. - Fra le famiglie che costituivano la colonia d'Alessandria ricordiamo le principali: Basso Domenico, Mazzon Sante, Battiston Ferdinando, Montagner Giacomo, Pinci Angelo, Tonetto Giovanni, Battiston Pietro, Marcassa Maria, Luchetta Angelo e Biban Angelo. - Si incontrarono delle difficoltà; la più incresciosa fu quella provocata dai proprietari stessi delle campagne: si tentò di annullare i patti colonici, di licenziare i profughi per assumere nel lavoro i prigionieri di guerra. - Don Pasin dovette fare opera di protezione e tutela; ottenne dal R. Governo che fosse negata la ulteriore concessione di prigionieri a quei proprietari. I quali si vendicarono dello scorno patito e della triste figura rappresentata e biasimata dal pubblico, con l'aggravare di lavoro quei poveri profughi, rei unicamente di aver domandato di guadagnarsi un pane; alle famiglie dei profughi si minacciò di negare perfino la distribuzione del frumento. La battaglia però fu vinta: ed il R. Prefetto d'Alessandria in tutti i modi appoggiò e difese il diritto dei profughi e rivendicò la giustizia a favore di chi tutto aveva perduto in conseguenza della guerra.
8. - La colonia d' Alessandria veniva spesso raccolta in città per convegni di carattere religioso ed economico, e per la trattazione di argomenti interessanti le
sorti dei soldati prigionieri o dispersi di guerra. - Perché, in mezzo a tanto lavoro, da D. Pasin non furono mai dimenticati gli assenti : le famiglie poterono rintracciare i loro cari e venir loro in soccorro. Teniamo in atti un numeroso incarto di corrispondenza, che conserveremo negli Archivi di Curia, lettere affettuosissime di profughi, di prigionieri, di combattenti che sempre riconobbero nel Sacerdote D. Pasin l'apostolo costante e forte della carità evangelica, il giusto difensore del diritto spettante a chi, senza colpa anzi per sentimento del dovere, o sotto pressioni superiori, viveva fra le miserie e gli stenti. La pubblicazione integra di tale carteggio costituirebbe uno dei più forti argomenti del sano patriottismo del Sacerdote italico.
Durante l'epidemia della grippe non si lamentarono vittime; i leggermente colpiti ebbero tutta l'assistenza religiosa. Maggiormente colpito D. Pasin, che fu ricoverato nel convento dei Cappuccini d'Alessandria: egli contrasse il morbo nell'assistenza a tre poveri fanciulli della famiglia Agostinetto, ricoverati in Castellazzo.
Nel Settembre 1918 D. Pasin potè ottenere dalla Croce Rossa Americana di Torino, per l'interessamento del Dott. Simoni d'Alessandria, un vagone di biancheria, vestiti e scarpe per i profughi Musilesi della provincia d'Alessandria e d'altre località: a giustificazione della retta distribuzione eseguita si conserva in Curia di Treviso una dettagliata distinta.
Un altro laboratorio fu fondato in San Remo per le ragazze profughe di Musile e Noventa, diretto dalle Suore Francescane Missionarie; accoglieva una cinquantina di figliuole, strappate così all'ozio e alla dissoluzione della pubblica strada. Il Laboratorio potè essere approntato con le offerte delle Signore di S. Remo, fra le quali primeggiò la Nob. Contessa Bianca Saysel, vero angelo di conforto per le povere sofferenti, e Miss. Ianuary, nobile americana, modesta, ma assidua soccorritrice dei bisognosi.
A S. Remo D. Pasin dovette sostenere una lotta che gli fruttò noie gravissime: - Una vera speculazione si era organizzata a danno dei profughi, si dispensavano ai profughi alimenti di ultima qualità ed insufficienti. - A questo fatto si aggiunga lo sfratto minacciato a circa 2000 profughi ricoverati in S. Remo.
Il Sacerdote si sentì il dovere di richiamare l'attenzione del Commissariato Centrale sulle indegne speculazioni che si compivano. Direttore e organizzatore di tale assistenza un Commendatore troppo noto a Treviso per un clamoroso processo, che terminò, a suo riguardo almeno, in una bolla di sapone . . 11 Commendatore, richiamato all'ordine dal Commissariato Centrale, tentò vendicarsi accusando il Sacerdote come disfattista: sottoposto ad una lunga inchiesta, in compagnia di un delegato del Prefetto, ritenuto suo complice e che poi fu trasferito a Caserta, D. Pa-sin si recò a Roma a giustificare il suo operato presso il Ministero degli Interni: il Comm. Guadagnino, a cui il Sacerdote fu presentato dall'On. Sandrini, capì la montatura e dissipò ogni pericolo di rappresaglia. - Però il Sacerdote fu accusato presso il comando del Distretto Militare di S. Remo, e improvvisamente fu chiamato sotto le armi nel Luglio 1918. - Il Ministero della guerra e l'alto Commissariato dei profughi furono interessati della questione che assumeva l'apparenza di una vera diserzione: fu scoperta la nuova montatura, o meglio una meschina vendetta personale: dopo poco più di un mese, D. Pasin. già inabile a tutti i servizi militari, d'ordine del Ministero degli Interni fu rimandato a continuare la sua opera di vero patriottismo fra i disgraziati di Musile: la notizia, accolta con entusiasmo dalla popolazione, fu notificata al Sac. Pasin dal Segretario Generale dell'alto Commissariato per i profughi, S. Ecc. On. Di Caporiaco, il 22 Agosto 1918.
Altre colonie di profughi Musilesi erano in Novara, Canale d' Alba, Varallo Sesia, Salerno, Cava dei Tirreni, Firenze, Aversa, Avellino, Benevento, Nocera di Pagani, Casale Monferrato e Tortona. Con tutte queste colonie D. Pasin e D. Tisatto furono sempre in relazioni frequenti, personali o epistolari: in tutte le colonie fu portata sempre la parola del conforto e dell'incoraggiamento: lettere, cartoline stampate con l'indirizzo preciso, per evitare lo smarrimento, conservate anche oggi rigorosamente in Curia di Treviso, addimostrano l'azione sapiente, prudente sempre, ma ancora risoluta ed energica in ogni eventualità e pericolo.
Mezzo efficacissimo di unione morale ed economica per i profughi di Musile, Noventa e, più tardi, Fagarè fu il foglio quindicinale “ Elena” , pubblicato in S. Remo dalla Tip. Puppo: eco dei profughi veneti, sostenuto con le offerte dei buoni, è oggi una preziosa raccolta di corrispondenza, di episodi, di ringraziamenti, di speranze e d'entusiasmo. Giornale apprezzato negli uffici ministeriali, fonte di documenti storici, meritò gli elogi per la tecnicità della sua composizione e per lo spirito da cui era informato: attraverso a quelle pagine, che spesso fanno piangere e fremere, si legge tutta la storia dolorosa del nostro popolo, gettato nell'estrema miseria da una vita agiata e tranquilla che si era preparata con i suoi sudori e con il suo sacrificio. Elogi per quest'opera di unione ebbe il suo direttore, Don Ferdinando Pasin, dalle più cospicue personalità italiane, fra cui ci è caro notare S. M. la Regina Elena, S. Ecc. L. Luzzati, S. Ecc. Mons. Pietropaoli, e in modo speciale S. Ecc. Mons. Vescovo di Treviso.
S. Ecc. Mons. Longhin, che condivise con il suo Clero tutti i dolori, condivise pure con questo le gioie e partecipò ai conforti di un lavoro che il Clero seppe attuare a bene del popolo trevisano. - Fra le tante lettere inviate a D. Pasin, ci limitiamo a riportarne una che caratterizza l'animo nobile del Pastore e il grande interessamento addimostrato durante la guerra. La lettera è del 25 Giugno 1918: - "Caro D. Ferdinando. - I timori e le ansie dolorose sono cessate, almeno per ora. Con la ritirata vergognosa del nemico, Treviso respira; ore e giornate di trepidazione abbiamo passato; ma Dio conforta, sostiene e protegge. - Ti benedico insieme a tanti miei figli. Che Iddio me li rimandi presto nelle loro terre, ora devastate, ma che al ritorno dei nostri buoni lavoratori rifioriranno più fertili di prima. —
f. Andrea Vescovo.,,
Giunse finalmente l'azione definitiva dell' Ottobre 1918. - I1 cuore di tutti gli italiani sussultò di gioia all'annunzio dell'avanzata fortunata delle nostre truppe: più ancora sussultarono di gioia i poveri profughi Veneti dispersi per tutta 1' Italia. - I profughi di Musile, appena i bollettini militari annunziarono che l’esercito italiano aveva spezzata la linea di resistenza e aveva attraversato il Piave, a mezzo del loro Vicario inviarono a S. Ecc. il Gen. Diaz il seguente telegramma : " Generale Diaz. - Zona di Guerra : - Profughi di Musile di Piave, residenti Alessandria, commossi sacro entusiasmo all’annunzio vittoriosa avanzata, oltre Piave, dei nostri valorosi soldati, riverberantesi nell'esule cuore come sogno radioso di un imminente ritorno alla terra, da dodici mesi angosciosamente, non disperatamente, rimpianta, porgono Vostra Eccellenza e all' esercito liberatore inesprimibile riconoscenza, augurio incontrastata marcia verso la finale vittoria, cui consegua per sempre, auspice Iddio, fulgore di pace, nel trionfo d'ogni giustizia. - f. - Pasin, Tonetto, Grandin.„
Il parroco intanto continuava il suo servizio militare. Dall'Ospedale di Tappa di Meolo, fu inviato dopo diverse peripezie, all'Ospedale 071 in Fiesso d' Artico. - Da questo Ospedale tutti i giorni fu in corrispondenza col suo Vicario D. Pasin, con le famiglie dei profughi, con i combattenti: si interessò di loro con vero affetto, e la corrispondenza ricevuta dal suo popolo e che si conserva anche oggi nell' Archivio di Musile, ricorderà che nelle sofferenze il cuore del Padre era congiunto con i figli lontani. I1 giornale “Elena” pubblicò il suo indirizzo; e parte delle sue lettere; come pure dal giornale “Elena“ Don Tisatto ebbe l'indirizzo, di tutti i suoi parrocchiani: in Piemonte 42 famiglie, in Sicilia 27, in Toscana 11, in Romagna 17, nelle Puglie 6, in Campania 27, nelle Marche 8, nel Lazio 1, negli Abruzzi 12, in Liguria 3, in Lombardia 4, nel Veneto 8, nel territorio invaso 6.
Nella licenza concessagli, dopo la Pasqua del 1918, per mettere in salvo a San Remo l’Archivio parrocchiale, potè visitare alcune colonie dei suoi profughi, fra le altre le colonie di S. Remo e d'Alessandria: si consolò nel constatare la assistenza prestata ai suoi parrocchiani, e più tranquillo ritornò fra i suoi feriti e mutilati di Fiesso d'Artico.
9. - Anche Musile, intanto, con la sua frazione di Caposile, si era trasformata in un vasto campo di battaglia. I Bollettini di guerra ripetono il loro nome con una frequenza spaventosa: posizioni prese di mira dagli Austriaci fin dai primi giorni di Novembre 1917, battute continuamente dalle artiglierie nemiche, assalite per ben 34 volte con furiosi scontri, e in gran parte allagate dalle acque del Piave e del Sile, furono ridotte ad un ammasso di rovine, e intieramente trasformate in una serie non mai interrotta di reticolati e di trincee. - Demoliti in gran parte fabbricati fin dal Novembre del 1917, la battaglia più intensiva si svolse certamente durante l'azione del Giugno. Musile anzi segna l'ultima tappa della disfatta austriaca sulla riva destra del Piave; la sua posizione fu contrastata con estrema audacia dai due eserciti e fu conquistata dai nostri a prezzo di sangue e di vittime: solo nel pomeriggio del 24 Giugno, dopo tre giorni di furioso combattimento e di ostinata resistenza, le valorose truppe della terza Armata hanno potuto completare la rioccupazione.
Splendida la descrizione che dell'ultimo scontro, certo il più tragico, fece Ermanno Amicucci. - Nel pomeriggio del 24 le valorose truppe della 3a Armata completavano la rioccupazione della riva destra del Piave. Alle ore 16,30 non un solo soldato austriaco rimaneva più al di qua del fiume. Un reggimento della brigata « Arezzo » ( 225° ), uno della « Jonio » ( 222° ) ed il 23° reparto d' assalto spazzavano le ultime retroguardie nemiche tra Musile e Capo Sile, catturando più di un migliaio di prigionieri e numerose mitragliatrici. I fanti della « Arezzo» e gli arditi del 23° reparto d'assalto, ottennero un nuovo brillante successo in quel singolare terreno paludoso e acquitrinoso, nel quale si battevano da parecchi mesi con tenace bravura. Dai memorabili combattimenti alla Agenzia Zuliani nel Novembre e nel Dicembre 1917 la Brigata « Arezzo » ha costantemente fronteggiato le fanterie di Wurm nelle paludi tra i due rami del Piave. - Gli arditi del 23° reparto erano quelli stessi che ampliarono nel mese di Maggio con tre impetuose irruzioni la nostra testa di ponte di Capo Sile massa randovi reparti di cavalleria appiedata ungherese. - Questi instancabili assaltatori dalle fiamme cremisi furono duramente provati anche nella battaglia di Giugno contrattaccando con grande slancio le truppe del corpo d'armata di Csiresics. Ad essi, che i continui combattimenti avevano ridotto di numero e affranti di fatica, un nostro venerato generale chiese il sacrificio di tornare a combattere per ricacciare le ultime forze nemiche ancora ostinatamente annidate fra gli argini e i canneti di Musile e di Capo Sile.- Il reparto era rimasto con pochi ufficiali, ma ripartì con entusiasmo per la linea. In barca gli indomiti arditi raggiunsero Capo Sile e qui si gettarono subito contro i mitraglieri nemici che, asserragliati a Paludello e nelle fattorie vicine, sparavano senza tregua. Nello stesso tempo da Capo Sile i reparti della Brigata « Arezzo » puntavano sulla Castaldia. Le retroguardie nemiche, armate di molte mitragliatrici, avevano fatto del terreno fra la Castaldia, la macchina idrovora del Consorzio e Paludello, il centro della loro accanita resistenza. Essi avevano l'ordine di difendere a prezzo di qualunque sacrificio le passerelle ed un ponte di barche gettate sul Piave all'altezza di intestatura e dell'ansa di Chiesanuova su cui ripassavano il fiume le truppe di Csiresics. La nostra artiglieria, tempestando continuamente la zona, aveva rotto quasi tutti i passaggi. - I1 24 mattina una sola passerella dietro Chiesanuova era rimasta al nemico, e su di essa transitavano frettolosamente in disordine, accavallandosi a gruppi impazienti, precipitando a frotte nell' acqua, i soldati nemici. Perciò i mitraglieri austriaci fecero crepitare furiosamente le loro armi contro le nostre truppe che premevano energicamente minacciando di tagliare la ritirata ai reggimenti di Csiresics. - I fanti della Brigata «Arezzo » riconquistarono di un balzo la Castaldia facendo bottino di armi e di prigionieri e respingendo verso l'ansa di Chiesanuova i mitraglieri scampati. La resistenza si concentrava ormai tutta a Paludello e nei pressi fra le rovine dell' edificio della macchina idrovora e Chiesanuova. Nelle tre o quattro case distrutte in Paludello, in una grossa fattoria vicina sul crocicchio delle strade di Musile, di Castaldia e di Mille Pertiche che si incrociano dinanzi a Paludello, i mitraglieri austriaci avevano piazzato molte armi. Soltanto sul quadrivio sette mitragliatrici disposte a ventaglio lanciavano raffiche incessanti sulle strade da cui avanzavano i nostri fanti e gli arditi. Su questo semicerchio di mitragliatrici si avventarono con otto assalti i riparti della «Arezzo». Un ultimo sforzo alle undici ebbe ragione del nemico. Con una pioggia di bombe a mano gli audacissimi fanti si slanciarono addosso ai mitraglieri austriaci, che furono costretti alla resa. - Nel pomeriggio non restavano sulla destra del Piave che i difensori dell'ansa di Chiesanuova. - Dal Canale delle Mille Pertiche, dalla palude e da Casa Gradenigo le nostre truppe investirono 1' ultimo nido della resistenza austriaca. Alle 16 l'ansa era spazzata, i mitraglieri catturati, l'ostinazione nemica definitivamente vinta. - I nostri fanti e gli assalitori si slanciarono sulla passerella, verso la quale s'affollavano ancora i soldati della 10.a Divisione austriaca; vi piazzarono una mitragliatrice sgranando fulmineamente raffiche di piombo tutt'intorno. Lo scompiglio fu tragico. Gli austriaci sbandati e terrorizzati si gettarono in acqua, alzarono le mani. Fu catturato un notevole numero di prigionieri. - Eseguita rapidamente la pulizia del campo, scovati dagli argini, dai cannetti e dagli acquitrini gli ultimi gruppi di nemici, dopo mezz'ora sulla riva destra del Piave verso la laguna gli arditi marinai del battaglione «Caorle» allargarono con felici irruzioni le nostre antiche posizioni.
Fu questo l'episodio più tragico: il territorio di Musile e di Caposile era coperto di cadaveri. Il Cimitero di Caposile contiene 10.000 vittime: e suonano un vivo poema di eroismo le parole scolpite sul frontone di quella campagna macabra:
«Questo lembo di terra italiana
ospita i resti corporei di prodi che se lo contesero
forti nel tenere gli uni, eroici nel riscattare gli altri
egualmente tenaci
Ai vincitori
Ai vinti
la pace di Dio
10. - Musile, campo di battaglia, sempre aperto per circa un anno, fu vittima della più raccapricciante distruzione. - I1 parroco Don Tisatto che il giorno 10 Novembre, con un permesso giornaliero concessogli per rintracciare i suoi genitori, vide le rovine della sua parrocchia e della sua Chiesa, descrive quella distruzione con poche parole, che fanno intravvedere la catastrofe immane, a cui fu soggetta quella zona, in una lettera diretta ai suoi profughi, e pubblicata nel giornale Elena il primo Dicembre 1918:
«Provai angoscia terribile quando, passato il ponte di S. Donà, mi fermai sull'argine per abbracciare con uno sguardo la mia sventurata parrocchia. Non vidi che un cumulo di pietre.
Mi avvicino alla mia canonica: quasi totalmente demolita: solo qualche muro in piedi. Raggiungo la mia bella Chiesa gotica vero gioiello, degno dal ridente paesello del Basso Piave. La facciata è quasi intatta fino al finestrone rotondo.
Entro, o meglio salgo il cumulo di rovine e mi siedo sopra una colonna ad osservare. I1 cuore mi martella. L'animo mi si strazia. Povera mia Chiesa!
Solo 1'altare del S. Cuore è quasi intatto; anche il Tabernacolo maggiore rimane sotto la colonnina.
Mi allontano dolorando. I1 Municipio è in terra; le case intorno la piazza tutte demolite. Del palazzo del Comm. Sicher solo la sala del bigliardo è in piedi. Mi fu detto che in fondo in fondo dietro la macchina del Consorzio sono in piedi delle case: cioè quella della vedova Pasini, di Guerra e di Coppo.
Torno a dare un'occhiata intorno a tutti quei mucchi di pietra. Lagrimando risaluto quei cari luoghi e ripiglio la via verso il mio Ospitale, mentre il sole pallidamente volgendo al tramonto illuminava di mesta luce quel disastro.
Dite ai nostri Musilesi che non disperino. La loro eroica pazienza non si smarrisca. Per l'opera attiva e sapiente del Governo il loro paese risorgerà.
Là, fra non molto godremo in pace i frutti della vittoria, che Iddio ci ha regalato per tanti dolori.»
Più tragica ancora la descrizione che con tutta semplicità fa il colono Casonato Antonio in una sua lettera del 13 Gennaio 1919 : «I1 giorno di Natale mi trovavo a Musile; non posso descrivere le condizioni nostro paese: nel contemplare ciò che esisteva, il mio cuore pianse. Un ammasso di rovine! Della Chiesa esiste la facciata tutta beccata dalle granate; il palazzo della Canonica non esiste più; la villa Sicher è tutta crollata: quattro mura smoncate ! Mi sono portato alla mia casa: il mio cuore si commosse di nuovo: non conoscevo più il posto dove era: un mucchio di rovine!»
Queste righe che manifestano tutto lo stato d'animo del Sacerdote e del popolo, danno chiara la visione dello spettacolo raccapricciante: Musile era stato trasformato in un cumulo di rovine. Non più strade, non più campi, ma ovunque tumuli dispersi, camminamenti, trincee, ammassi incomposti! Con cuore straziato, piangendo, D.Tisatto abbracciò i suoi cari, ritrovati a Sant'Anastasio, in provincia di Udine; nei pochi giorni che precedettero il suo licenziamento, non scrisse che lettere tristi: la sua corrispondenza epistolare, tenuta gelosamente da chi scrive queste memorie, ha una tonalità così melanconica che opprime, da vivace ed allegra che era prima.
11. - D. G. Tisatto ritornò stabilmente a Musile il prime Gennaio 1919. Musile era ancora deserta; l'unica famiglia, ritornata da due giorni dalla profuganza era
quella di Mucelli Candido. - Non potendo dimorare in Musile, per mancanza di qualunque rifugio, tutte le sere si portava in Ceggia, in casa di Pietro Lisier, dove pure abitavano il Clero e il Sindaco di S. Donà di Piave. Ogni mattina ritornava in Musile; e nella distribuzione della posta alle famiglie di Musile, Croce, Chiesanuova e Passerella, nella compilazione dei buoni per le provviste del pane e degli scarsi generi alimentari, nel disbrigo delle pratiche per il ritorno dei profughi, in una vita, in una parola, di facchinaggio, trovò largo campo di unire gli animi avviliti e prepararli alla cooperazione per quella sana ricostruzione morale ed economica che costituisce oggi la vera fortuna di quella popolazione.
In pieno accordo con le autorità militari e civili, si interessò vivamente per la posa in opera delle baracche, necessarie a tanti profughi che tornavano a rivedere il loro paese interamente distrutto; a mezzo delle stesse autorità, servendosi dei prigionieri di guerra, gli ultimi giorni di Marzo potè iniziare i lavori di sgombero delle rovine della Chiesa e della canonica. - Nella cantina di quest'ultima furono rinvenuti, del tutto ricoperti dalle macerie, i gioielli preziosi che adornavano l'immagine della Madonna, e che furono in quel luogo sepolti da D. Ferd. Pasin; l'argenteria invece, che era stata nascosta nella cantina di casa Callegher, non fu più ritrovata: quella cantina, trasformata in luogo di rifugio, fu più volte abbattuta e sconvolta dalle granate, e probabilmente un corredo così prezioso fu disperso dai nostri stessi soldati.
12. - A mezzo dell'ottimo Ten. De Castello, il parroco di Musile potè ottenere una baracca che fu adibita ad uso Chiesa, dalle proporzioni di m. 20 di lunghezza per m. 5 di larghezza: fu inaugurata il 14 Febbraio 1919, e servì per il Culto fino al 9 Luglio-1922. - In Marzo dello stesso anno fu in qualche modo riattata una stanza della vecchia canonica: quella stanza fino al 13 Giugno 1922 servì come cucina, stanza di studio, di ricevimento e di riposo, magazzino, e infine come per sala di ricevimento a qualche amico disgraziato che si interessava delle sofferenze di un Sacerdote amico ancor più disgraziato: bella poesia comica e burlesca, contrastante, certo non poco, con la tranquillità oggi concessa, in un magnifico palazzo,a chi, ha provato la guerra con tutte le sue privazioni e con tutti i suoi sacrifici. - Nell'Agosto del 1919 si ripristinò il servizio religioso anche a Caposile; ma quella località storica nelle pagine dell'ultima guerra, meriterebbe qualche cosa di più di una baracca o di una semplice cappella: un tempio, monumento nazionale, che attesti ai secoli la storia nostra, l'eroismo di tanti caduti, il sangue sparso per la rivendicazione dei diritti e per la libertà della patria, auguriamo sorga presto in quella località sacra, monito ai posteri di quel forte amore alla fede, di quella sincera devozione alla legge che trasformarono in veri eroi tutti i combattenti, tutti i caduti sulle rive del nostro Piave.
Intanto le famiglie cominciavano il loro ritorno dalla profuganza. - Per la necessità di sgombrare il terreno dagli avanzi di guerra, l'agricoltura si dovette in gran parte trascurare nel 1919 e nel 1920. Alle necessità impellenti della vita, allo sgombero del terreno provvidero le autorità pubbliche, civili e militari: degna del massimo encomio la benemerita Opera Bonomelli che affidò a D. Tisatto l'incaricato della gestione e sorveglianza di cinque cucine economiche.- Opera provvidenziale, ma densa di noie; perché i malcontenti non mancano mai! Chi assume tali incarichi, deve rassegnarsi ad ottenere, come prima ricompensa, i frizzi, il sarcasmo, l'imprecazione, e la calunnia; solo, assopita la passione, si apprezza il lavoro compiuto. - Così successe a D. Tisatto; ilare sempre e attraverso difficoltà, assunse e organizzò la gestione delle cucine economiche, di cui due erano situate in Croce di Piave: a trecento bambini si fornì per circa due anni un cibo sano e sostanzioso; a Musile, alla Frazione Salsi, a Malipiero, a Caposile e a Croce si ricorda anche oggi il Sacerdote trasformatosi in dispensiere, in infermiere, spesso ancora in vero inserviente dei più poveri e dei più bisognosi.
13. - Tante occupazioni non impedirono di pensare alla ricostruzione della Chiesa. -La perizia dei danni di guerra, patiti dall'edificio sacro, fu compilata dagli ing. G. B. Schiratti e Arch. G. Possamai; la relazione tecnica fu così formulata: «La parte d'armatura, ancora restante, deve essere demolita interamente. – Il ricupero di materiale compenserà a mala pena la spesa di demolizione; per cui non essendosi computate, nella stima anteguerra, le fondazioni, il valore della Chiesa e campanile in tale stima risulta di Lire 229.288,50: tale è pure l’ammontare del danno. Il quale resta così classificato:
Danni alla Chiesa Lire 157.226,50
" al Campanile " 72.062,00
_____________________
Totale dei danni L. 229.288,50
Si deduce l'importo delle campane, da liquidarsi in separata sede, Lire 14.528,00.
Danno reale subito dai fabbricati Chiesa e Campanile, a prezzi anteguerra L. 214.760,50.
Il 27 Dicembre 1919 la fabbriceria innoltrò al Commissariato di Treviso speciale delibera, con cui decideva:
« 1. - di chiedere al Commissariato Governativo, presso il Ministero delle Terre Liberate, la totale ricostruzione della Chiesa parrocchiale di Musile intieramente distrutta per causa di guerra;
2. - d' allegare alla domanda copia della perizia giudiziale depositata presso la R. Pretura del Mandamento di S. Donà di Piave, a firma dell' ing. Schiratti, per facilitare gli accertamenti al detto Comitato Governativo;
3. - di chiedere allo stesso che accettasse nella ricostruzione, qualche leggera modifica nella pianta, per meglio adattare la Chiesa alle mutate esigenze del paese, prendendo formale impegnativa di assumere, per la fabbriceria, tutti i maggiori oneri che risultassero dalle modifiche, sopra l'importo periziato ed assegnato dal Ministero.
4. - di proporre al detto Comitato e pregarlo di accogliere un progetto di massima, commesso e già compilato a firma dell'Arch. prof. Giovanni Possamai di Venezia, incaricato allo scopo dalla fabbriceria.- f. ° D. G. Tisatto, parroco; Tonetto Giovanni capo fabbriciere ».
L'istanza della fabbriceria non fu accolta dal Commissariato di Treviso: le disposizioni di legge prevedevano la ricostruzione della Chiesa da parte del Commissariato unicamente nel caso di ricostruzione identica alla preesistente e qualora 1' Ente pubblica mancasse di quegli elementi tecnici, richiesti per il proseguimento dei lavori e per l'attuazione di opere a regola d'arte.
Non si perdette un tempo prezioso. Due giorni dopo, il 14 dello stesso mese, fu ripresentata l'istanza: si affidava intieramente al Commissariato di Treviso la ricostruzione della Chiesa di Musile; non si fece più cenno a modificazioni da introdursi al progetto preesistente: le modificazioni richieste dalle esigenze del culto e dell'arte, si sarebbero ottenute in corso di lavoro. - L'Ufficio Tecnico per la Provincia di Venezia, riesaminati i documenti presentati, ed espletata una seconda perizia sui danni di guerra patiti dagli edifici sacri di Musile, il giorno 8 Marzo 1922 con N° 3550 di prot. innoltrava la sua relazione al Comm. Governativo di Treviso: «In ottemperanza alle disposizioni del R. D. 8 Giugno 1919, no 925, art. 8, e N° 2094, della raccolta ufficiale delle leggi e dei decreti del Regno, si è compilata 1'unita perizia del complessivo importo di Lire 300.000, - di cui Lire 45.000 a disposizione della Amministrazione, - riflettente i lavori per la ricostruzione .della Chiesa parrocchiale del Comune di Musile. - Si fa presente che la Chiesa distrutta sorgeva in un sito che fu zona di combattimento per circa un anno, e quindi 1'edificio, al pari degli altri vicini, rimase esposto a tutte le vicende belliche della prima linea».
La perizia comprendeva un primo lotto di lavori, non la intiera ricostruzione degli edifici sacri; ultimati questi, si sarebbe provveduto alle opere di finimento.
E la perizia e l'istanza furono approvate dal Commissariato di Treviso; il 22 Maggio 1920 il lavoro di ricostruzione fu affidato, con atto di cottimo N° 259, all'Impresa Veneta di Ricostruzione, per l'importo di L. 255.000: il contratto ufficiale fu registrato a Venezia i! giorno 1 Giugno 1920, al N° 6092, voi. 347 A. P.
Approvato così, in linea tecnica, e appaltato il primo lotto dei lavori di ricostruzione, si ripresero subito le pratiche per ottenere l'ampliamento dell'edificio stesso secondo il progetto dell'Arch. prof. Possamai. Le pratiche, presentate all'Ufficio Tecnico di S. Donà il 24 Maggio 1920, furono spedite, per competenza, a Mestre, e da Mestre a Treviso. - Si subì un po' di ritardo, ritardo imposto in modo speciale dalla necessità di un controllo lungo e paziente e un confronto che si imponeva fra la somma totale fissata come indennizzo sui danni di guerra e il preventivo per l'attuazione del nuovo progetto. -
Si interessarono del disbrigo della pratica, gli On. Frova e Sandroni. - L'11 Agosto, nel1'Ufficio Tecnico di Mestre, 1' ing. cav. Mirabelli, capo ufficio, e il rappresentante dell’impresa assuntrice dei lavori notificarono al parroco e alla fabbriceria che la differenza sulle due costruzioni si aggirava sulle 225.000 lire; il progettista aveva prospettato invece una differenza di Lire 68.000!
Fu un momento di illusione per il Sacerdote; il quale non affrontò la soluzione del problema, e si riservò di interpellare i suoi Superiori Ecclesiastici e di rimettere a questi una decisione. - E questa giunse, draconiana e bellissima nella sua concezione teorica, ma in pratica di non facile attuazione : «Questa Curia, considerato il bisogno dell'ampliamento della Chiesa; tenuto presente la forte differenza per l'esecuzione dei due progetti, è d'avviso che torni più utile alla fabbriceria di Musile eseguire i lavori della nuova Chiesa e del campanile direttamente e per conto proprio. - f.° Tonazzo - La decisione fu notificata agli uffici governativi di San Donà, Mestre e Treviso; nessun ostacolo fu posto dal Commissariato per le TT. LL. l'artic. 8 del Reg. 1919 fissa due vie per ottenere la ricostruzione delle opere pubbliche, e la fabbriceria si valeva d'un suo diritto legittimo. - Si voleva una Chiesa più ampia, più bella, più artistica?
L'entusiasmo è sprone a grandi cose; ma spesso cade e si risolve in un soffio di vento dinanzi alla fredda prosa della matematica, alla più fredda prosa di una mancanza di elementi tecnici specializzati, alla complicata procedura fissata per ottenere gli indennizzi, all'incerta sicurezza di un appoggio continuato di un popolo, animato di buona volontà e profondamente credente, geloso ma anzi della sua bella Chiesa, ma che versava in condizioni infelici, e che, mancante di tutto, doveva lottare per far fronte a tante altre necessità.
14.- Così successe a Musile; e fu una fortuna: oggi probabilmente non avremmo aperti al Culto gli edifici sacri! - I1 popolo era impaziente di vedere ultimata la sua Chiesa, centro di vita nei nostri paesi del Veneto: interpellato il paese, la fabbriceria, presi nuovi accordi con l'autorità Ecclesiastica, venne nella determinazione di ritirare, con apposita delibera, le ultime proposte innoltrate al Commissariato di Treviso, e di pregare il Commissariato stesso a riprendere il lavoro di ricostruzione della Chiesa seguendo in tutto il disegno preesistente alla guerra. L'Arch. Possamai, a cui la fabbriceria aveva affidato lo studio per un ampliamento del disegno, fu liquidato di tutte le sue competenze con Lire 10.000, e il lavoro si iniziò: il 4 Giugno 1921 il primo lotto dei lavori era ultimato. – Il collaudo ufficiale ebbe luogo il 13 Dicembre 1921 con l'intervento dell'ing. Giuseppe Leva, capo gruppo e direttore dei lavori, il Geom. Arus Luigi, e l'ing. Gera Bindo, rappresentante dell'impresa costruttrice; ingegn. collaudatore il cav. uff. Ernesto Rodrigues, direttore dell'Ufficio Tecnico Speciale di Treviso. - I lavori furono liquidati in Lire 275.512,62.
Ma prima che fossero ultimati i lavori fissati dal primo lotto d'appalto, l'Ufficio Tecnico dì S. Donà aveva compilata la perizia dell'ultimo lotto, comprendente tutti i lavori di finimento degli edifici sacri. - La perizia è del giorno 8 Aprile 1921: sottoposta all'esame del Comitato Tecnico il 16 Aprile, fu approvata il 29 dello stesso mese. - Alla fabbriceria, che si mostrava preoccupata e temeva una sospensione dei lavori in attesa dell'espletamento delle pratiche, il Commissariato di Treviso dava assicurazione della deliberazione presa con il seguente documento: «Vista la (nuova) perizia (dell'8 Aprile 1921 dell'importo di Lire 420.000,00, di cui Lire 63.305,75 a disposizione dell'amministrazione per imprevisti, nonché la nota 8 Aprile 1921, N° 3621, dell'Ufficio speciale per la Prov. di Venezia, con cui si fa presente che la detta perizia contempla l'esecuzione delle opere necessarie per la completa ultimazione dei lavori; e che mediante gli stessi la Chiesa risorgerà tale e quale era prima della sua distruzione, non essendo state previste varianti di sorta;
vista la precedente deliberazione 2 Giugno 1920, N° 82, con cui questo Comitato approvò la perizia 8 Maggio 1920, redatta dall' Ufficio Tecnico Speciale di Venezia per provvedere alla esecuzione di un primo lotto dei lavori di ricostruzione della Chiesa (di Musile) per l'importo di Lire 300.000,00;
considerando che la nuova perizia per l'esecuzione dei lavori del secondo lotto in massima non da luogo ad osservazioni in linea tecnica;
approva, in linea tecnica, la perizia per la esecuzione del secondo lotto dei lavori di ricostruzione della Chiesa parrocchiale di Musile nell'importo di Lire 420.000,00. - f.to Gioni».
- In questo lotto era pure compresa la ricostruzione del campanile; per il quale era stata fissata la cifra di Lire 289.000,00.
Al Commissariato di Treviso che domandava con lettera 2 Agosto 1921 per quali motivi la fabbriceria rinunciasse pure alla esecuzione diretta del campanile, che avrebbe dovuto sorgere in tutto conforme al precedente, il 30 Agosto la fabbriceria giustificava il suo modo di agire con la seguente dichiarazione: «Letta la Commissariale del 6 Maggio p. p., in risposta alla delibera della fabbriceria del 14 Aprile c. a. ; considerato che assumendo il lavoro del campanile per conto proprio ne avrebbe danno l'impresa Veneta, la quale ha già iniziato il lavoro, portando la muratura all’altezza di circa quattro metri, e tiene pronto il materiale per il compimento; constatato che la fabbriceria non ha elementi tecnici né fondi, e che l'urgenza di eseguire l'opera non consente di attendere il finanziamento da parte del Ministero del Tesoro, viene deliberato di affidare al Min. TT. LL. la ricostruzione del campanile quale era prima della guerra. - f.ti D. G. Tisatto, parroco; Vazzoler Giovanni, Casonato Antonio, Montagner Angelo, fabbricieri."
15. - Così nessuna sospensione ebbero i lavori in Musile di Piave. L'impresa costruttrice che esplicò tutta la sua attività, e la direzione dei lavori, sempre tenuta con vera passione dall'ing. Giuseppe Leva, in breve tempo condussero a termine un'opera che desta 1' ammirazione degli intelligenti dell'arte. - I1 19 Luglio 1922, la Chiesa, ultimata anche nella sua parte decorativa, si apriva, fra il comune entusiasmo, al Culto pubblico, previa,la benedizione rituale impartita dal parroco: in quella circostanza furono ammessi alla prima Comunione più di cento bambini di Musile: quelle anime semplici, che avevano sofferto nel periodo della profuganza, furono il primo fiore delicato offerto a Cristo nel nuovo tempio artistico innalzato in suo onore. - In Settembre dello stesso anno era ultimato l'artistico e grazioso campanile.
Nessuna disgrazia si dovette lamentare durante la prosecuzione dei lavori.
16. - Edifici artistici! - Già lo erano prima della guerra. - La Chiesa sorge sulle rovine di quella edificata nella nuova piazza del paese, distante dagli argini; è di snello stile gotico con leggere modificazioni sul vecchio disegno. 11 prospetto sempre a tre navate, fu screziato con armoniosa policromia di pietre tinte in rosso e giallo, rendendo così più caldo e intonato il colore d'assieme. – Il rosone della navata centrale venne ingrandito ed invece di un traforo a ruota ne presenta altro a quattro trilobi. La bianca sagoma della pietra artificiale con la quale è lavorato, si distacca vivacemente dallo sfondo. - Il portale maggiore e i due laterali si delineano
con leggiadria di addentellati e con esatta proporzione dell'arco acuto. - Sopra le paraste angolari si innalzano eleganti pinnacoli in pietra di Chiampo ed in alto del frontone della navata centrale si eleva una croce elegantemente fregiata in ferro battuto: il pannello sopra la porta principale segue la linea ogivale dell'arco. - L'interno della Chiesa è decorato di affreschi ornamentali in puro stile gotico. La navata centrale, sorretta da due ordini di colonne di marmo colorato e basi e capitelli gotici in pietra di Chiampo, ha la volta centrale a crocera a sesto acuto, decorato sulla guida delle decorazioni della Chiesa del Santo di Padova con tinte a tempera. - Lateralmente si trovano i locali delle sacristie (quattro:due inferiori e due superiori); l'abside è pure come il preesistente, a pianta poligonale, a cinque lati, con finestre molto allungate a sesto acuto. - Le dimensioni interne della Chiesa sono: lunghezza (all'estremità dell'abside ) m. 32.40; larghezza (massima delle tre navate) m. 15.40; altezza m. 15.
Sui finestroni delle navate, come su quelli dell'abside e sui rosoni, riflettono austera e riposata luce i vetri rullati. - I1 nuovo campanile alto m. 52 (croce compresa), a differenza di quello crollato, presenta molto sporgenti i quattro frontoni sopra 1'alta e spaziosa cella campanaria; furono aggiunte quattro bifore che sveltiscono e rendono snello lo stile del campanile. – Il progetto della ricostruzione e le modificazioni furono studiate dall'Ufficio Tecnico di S. Donà, diretto dall'ing. G. Leva.
Giustamente fu scritto: «Musile ha un tempio che degnamente può adornare una città: - il Governo con signorilità cospicua non ha mancato anche qui del profondo rispetto dovuto al Culto e all'Arte ».
17. - Le campane. - Non furono levate dalla cella campanaria; abbattuto il campanile, fin dal Novembre 1917, rimasero sepolte sotto le sue macerie e i frantumi probabilmente furono asportati dai nostri soldati. Nessun documento ci conferma il luogo della loro destinazione, coinvolte in quel caos di distruzione e di sperpero che è un campo di battaglia, specialmente nella sua prima linea di fuoco; - soltanto una grossa scheggia fu trovata nella campagna di Montagner Pietro, a circa mezzo Km. lontano dalla Chiesa parrocchiale, forse lanciata il 16 Novembre, quando una granata di grosso calibro colpì la cella campanaria. - Erano state fuse dalla rinomata Ditta De Poli di Vittorio Veneto nell'anno 1899, e pesavano complessivamente Kg. 2159. Di timbro perfetto, come tutte le campane della Ditta De Poli, - con tonalità in mi bemolle - fa - sol, - erano l'orgoglio del buon popolo che giustamente le paragonava alle campane di qualche grosso paese circonvicino, più pesanti, ma meno armoniose. - La fusione delle nuove campane, fornite per interessamento dell' Opera di Soccorso di Venezia, dal Commissariato di Treviso, fu affidata alla Ditta Cobalchini di Padova, con contratto del 15 Aprile 1921:
intonate in - mi - fa diesis - sol diesis - e dello stesso peso, giunsero a Musile il 31 Luglio 1922: su un carro trionfale trasportate a Musile, ricoperte di fiori, furono ricevute con entusiasmo dalla popolazione che rivedeva in esse le sorelle, vittime della grande guerra. Furono consecrate da S. Ecc. Mons. Vescovo il 10 Agosto dello stesso anno: ad esse furono imposti i nomi di Donata, Maria e Agnese; funsero da padrini alla cerimonia i signori Casagrande Augusto, Bortolotto Pietro e Dalla Mora Giovanni. - Le nuove campane portano tutte 1'iscrizione che rievoca la loro origine e i grandi fatti della guerra: Me fregit furar hostis - at hostis ab aere revixi - Italiam claram voce Deumque canens». Sono pure fregiate rispettivamente di altre diciture e di immagini sacre; sulla prima, la maggiore: «Ab omni malo paraeciam, quaesumus, libera Domine», con le immagini di Cristo Redentore, Mad. della Salute, S. Donato V. M.; sulla seconda : «Tu eis, Domine, dona requiem et locum indulgentiae», con le immagini del Crocifisso, Madonna del Carmine, S. Giuseppe; sulla terza: «Custodi nos, Domine, ut pupillam oculi», con le immagini di Gesù che benedice i fanciulli, Maria Immacolata, Santa Agnese, S. Luigi.
Su castello di ferro, costruito solidamente dalla Ditta Morellato Giuseppe di Falzè di Trivignano, il 24 Maggio 1923, anniversario dell'entrata in guerra dell'esercito italiano e festa di Maria Ausiliatrice, dopo il tramonto, appena ultimato il lavoro di assestamento, quelle campane suonarono a festa: quel suono che da otto anni non si sentiva più ripetere in quella località bagnata di tanto sangue e teatro di tante rovine, portò un sussulto di gioia in tutti i cuori: le anime di tanti morti, associate alle anime di tanti vivi, tutti provati dal dolore e dalle tribolazioni, si abbracciarono in un impeto di entusiasmo per invocare pace e concordia, lavoro e ricostruzione, per impetrare le benedizioni celesti su chi tanto aveva patito, per esternare l'inno del ringraziamento a Dio e a tanti benefattori ; dall'alto dei cieli, i cuori sentirono piovere una gioia insolita: Maria veniva invocata in un modo del tutto nuovo. In quel momento, tramontato il sole, si udirono rivivere di una vita del tutto nuova nel loro profondissimo concetto i versi del poeta:
Un oblio lene de la faticosa
vita, un pensoso sospirar quiete,
una soave volontà di pianto
l'anime invade.
Taccion le fiere e gli uomini e le cose;
roseo il tramonto ne 1'azzurro sfuma;
mormoran gli alti venti ondeggianti:
Ave Maria.
18. - In Giugno la Chiesa fu fornita dell'Altare Maggiore: in stile gotico, in marmo di Carrara con unica mensa e prospetto lavorato in fregi, secondo lo stile della Chiesa, è opera degli scultori Scarante e Andreozzi di Pietrasanta. - È incompleto : manca del secondo gradino, necessario per sostenere le opere ornamentali, e della relativa custodia con il Trono. - La fabbriceria richiese l'ultimazione dell'opera: l'ing. capo dell'ufficio Tecnico speciale di Treviso, in data 3 Luglio1923 N. 11292 assicurava che il lavoro sarebbe stato presto condotto a termine: il disegno e il preventivo di spesa furono già richiesti all'impresa costruttrice.
19. - 1 danni ai beni mobili furono rilevantissimi. La denunzia presentata dalla fabbriceria fa ammontare in Lire 105.168,00 l'indennizzo spettante per il risarcimento. - Non è esagerata la cifra: a Musile nulla o quasi nulla si potè salvare di ciò che costituisce il corredo della Chiesa: arredi di sacristia, oggetti preziosi, lampade e bronzi, ornamenti e forniture, apparamenti sacri, tutto andò distrutto. - Nessun indennizzo è stato ancora ottenuto dal Commissariato di Treviso; nessun sussidio si potè avere dall'Opera di Soccorso di Venezia. La fabbriceria ha unicamente ottenuto, a mezzo dell'Istituto Federale di Credito per le Venezie, un anticipo di Lire 15.000 che non furono sufficienti a provvedere neppure il minimo indispensabile. L'ammontare delle spese finora sostenute risale già a Lire 52.000.00, e da una relazione inviata alla Curia di Treviso tali spese sono così specificate.
1. Banchi L. 8.500
2. Battistero „ 2.400
3. Confessionali „ 2.000
4. Via Crucis in perfetto stile con la Chiesa „ 1.200
5. Statua della B. Vergine, con trono gotico „ 5.000
6. Statua di S. Valentino „ 800
7. Impianto luce elettrica „ 1.853
8. Apparamenti sacri, opere di ornamento, effetti di Sagrestia e
spese varie „ 30.247
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Totale Lire 52.000.
La spesa è forte; eppure, ripetiamo, non rappresenta intieramente il corredo liturgico richiesto per il Culto. Agli impegni assunti, ai nuovi acquisti la fabbriceria prov-vederà con gli indennizzi che anche per Musile ci auguriamo siano quanto prima liquidati.
20. – Il 6 Agosto 1923 la bella Chiesa di Musile fu consacrata da S. Ecc. Mons. Lon-ghin Vescovo di Treviso. «Fu un avvenimento di straordinaria importanza, perché venne a coronare gli sforzi di risurrezione di questa deliziosa contrada che si stende sotto un ciclo maestoso lungo le sponde del Piave e del Sile, là dove l'anima italiana per il valore dei suoi bersaglieri; dei suoi fanti e granatieri, arrestò nel Novembre, 1917 e nel Giugno 1918 la marcia avvolgente dell' invasore. - La bella Chiesa gotica domina lo storico quadro del Basso Piave, e sembra sublimare di un perenne e divino sorriso quella pianura che vide gli orrori della guerra terribile. - I1 popolo di Musile guidato dal suo parroco, anima ardente di Sacerdote e di Pastore, volle prepararsi alle glorie della consacrazione con fervore cristiano. L'alba del 6 Agosto vide lo scatto spontaneo di questo popolo, che raccolto in corteo, fra 1' ondeggiare dei suoi vessili cristiani, in armonia con la festività solenne delle campane e l'austero sparo dei classici mortaretti, mosse incontro al venerando Pastore della Diocesi. - I1 rito maestoso della consacrazione si susseguì fra l'emozione del clero e del popolo, inondando del suo fascino soprannaturale quanti assistevano in silenzio e in preghiera. Fra gli incensi, i canti e le benedizioni, gli Altari e la Chiesa ebbero la loro sublimazione. - Ultimata la consacrazione, ascese l'Altare, nuovamente dedicato a S. Donato, il Parroco D.Giov. Tisatto, evidentemente commosso, mentre la Schola cantorum, alternativamente, con tutto il popolo, mandava al Cielo il
canto festoso. Presenziavano alla Cerimonia il Clero della Forania di S. Donà e Don Ferdinando Pasin, già Vicario di Musile; il Ministero delle T. L. era rappresentato dall' ing. Giuseppe Leva. - Al Vangelo Mons. Vescovo, fra 1' emozione dei fedeli rievocò i fasti religiosi di Musile, i dolori del suo esilio, i trionfi della sua fede ardente. Rilevò ed elogiò l'intraprendenza e lo zelo fecondo di D. Giov. Tisatto che seppe tener deste le energie per la pronta risurrezione spirituale del paese; ricordò l'opera di D. Ferdinando Pasin, che assistette da vicino nei giorni della ritirata e nei mesi dell'esilio, nelle varie contrade d'Italia, le famiglie fuggitive e doloranti. - Con tenerezza di padre benedisse quel popolo intero, mentre le fronti dei vecchi come dei giovani, su cui facevasi scorgere ancora il segno di tragici ricordi, si chinavano in preghiera ed in adorazione verso Dio.»
La Chiesa di Musile fu la prima, fra le risorte nel Lungo - Piave, che fu consacrata dopo la lunga guerra. - Quante volte, da lontane contrade, in mezzo a gente sconosciuta, quei figli di Musile avranno guardato a questo giorno! Quante volte nella loro fede ardente avranno auspicato alla risurrezione della loro bella Chiesa! 11 voto è raggiunto; il sogno si è realizzato: giustamente Musile tutta fu in festa il 6 Agosto 1923: con programma intonato a dignitosa letizia, celebrò in molteplici e svariatissimi festeggiamenti le sue glorie, facendo vibrare lontano lontano le sponde del fiume glorioso.
21. - Presso la Chiesa, al suo lato destro, sulle fondamenta del vecchio Municipio, sorge 1' Asilo, istituzione nuova per Musile, reclamato dalle nuove esigenze e futura sorgente di gran bene morale per la gioventù. - Il terreno fu regalato dal Comm. Sicher Andrea: il fabbricato fu costruito con la elargizione di Lire 14.000.00 della Signora Costanza Bressanin, con l’incasso di Lire 25.000,00 ottenuto da una pesca di beneficenza e con le generose offerte del popolo. - Il progetto e la direzione tecnica dei lavori fu assunta gratuitamente dal Sign. Nicola Bizzarro. Sarà quanto prima inaugurato ufficialmente: i bambini di Musile, sotto la direzione delle Suore, impareranno maggiormente ad amare quella fede e quella patria che trasformarono in veri eroi i loro padri, e pregheranno . i per tutti i benefattori che, con sacrifici finanziari e con sapiente collaborazione intellettuale, attuarono un piano di ricostruzione e di elevazione lungamente vagheggiato anche prima della guerra. - Però non bisogna dimenticare che a Musile, già fin dal 1920, con le offerte del popolo, e sotto la presidenza e direzione del Cav. Dott. Rizzola, medico del paese, ha funzionato e continua a funzionare in una baracca un Asilo che accoglie una cinquantina di bambini.
Un'altra opera è sorta presso la Chiesa: è frutto dei piccoli risparmi del Sacerdote Don Tisatto. - Una sala, delle dimensioni di m. 17 per 7, fu ultimata nel 1923. È destinata a servire per l'istruzione religiosa ai bambini, per scuola serale di religione e di musica, per adunanze delle varie associazioni. - Fu inaugurata il 24 Gennaio 1924 con una splendida conferenza sulle Missioni della Cina, tenuta dal P. Urbano dei Minori Francescani.
22.- La Canonica, come si disse, fu rasa al suolo. Di proprietà del Comune, fu da questo espletata tutta la procedura per gli indennizzi e per la ricostruzione che fu pure affidata al Commissariato di Treviso. - Fu cambiata località la canonica esisteva un giorno dove attualmente sorge la Sede del Municipio. - La perizia, compilata dall' Ufficiò Tecnico Speciale di S. Donà in data 13 Agosto 1920, fissa quale indennizzò, la somma,di L. 140.000,00 con tale cifra fu costruita con proporzioni maggiori della preesistente, la nuova canonica: consta di due piani, con quindici vani e due ampi granai. E’ pure dotata di una sufficiente adiacenza per uso stalla, fienile e cantina.
23. - L'oratorio di Caposile, raso al suolo durante la guerra, sorgerà presto, noi lo auguriamo, più bello di prima, dalle sue rovine. Ne sono proprietari i Signori Argentini Giuseppe e Saccomani Vincenzo di Musile. - Sono ancora pendenti le pratiche presso 1'Intendenza di Finanza di Venezia: ma ultimate queste, si darà inizio ai lavori. - Siamo assicurati da una lettera del Commissariato di Treviso del 10 Nov. 1923, diretta alla stessa Intendenza di Finanza, e di cui copia, per conoscenza, fu spedita alla fabbriceria di Musile: "Questo Istituto, ritenuta la propria competenza nei riguardi della ricostruzione della Chiesa di Caposile, in Comune di Musile, in virtù dell'Ari. 10 della Legge 10 Dicembre 1922, N° 1722, ecc... fa presente che essendo stati i lavori di riparazione dalla fabbriceria interessata domandati a questo Istituto con deliberazione del 30 Giugno a. c., questo Commissariato potrà dare inizio ai lavori stessi solo quando avrà accertato che nulla, per tale titolo, è stato né sarà corrisposto alla Ditta Argentini proprietaria dell' edificio. f.to Ravà,,.
Noi lo auguriamo! - Lo vagheggiamo, quell'Oratorio, monumento di fede e di preghiera innalzato ai morti di Musile e di Caposile. - La famiglia Argentini, cedendo, come noi siamo sicuri, l'indennizzo spettante per legge sui danni patiti, eternerà il suo nome fra i veri benefattori di quella zona martoriata dalle granate nemiche. E quel suolo diverrà maggiormente sacro.
Nell'ora tragica della sconfitta, giunsero qui, cantando, i nostri soldati da tutte le parti d’ Italia: ciascuno portava sulla palma dorata il proprio cuore; comparvero come le promesse invisibili del tempo quando il velame del futuro si squarciava sotto la mano di Dio. - Nell' ora della prova opposero alla irruzione violenta del nemico il loro petto, vero muro di bronzo, contro cui si infransero i più terribili assalti. - Sono caduti: ma la loro caduta assunse in ore fosche e trepide il significato di onore nazionale fulgidamente rivendicato.
Nel Cimitero di Caposile dormono il sonno dei giusti. Le piccole croci guardano
a migliaia, racchiuse in quel sacro recinto: il forestiero, che arriva a Caposile, sente la voce di quei morti, gira attorno a quel recinto, dilata gli occhi per abbracciare quell'immensa distesa, prega, e, indugiando in pie meditazioni, acquista lena per le ardue ascensioni e per le lotte più ardue della vita: così la fede e la preghiera infrangono le barriere che separano i vivi dai morti e creano le dolci comunioni degli eletti.
Questa unione, questa dolce comunione, si sentirà più spiccata dinanzi a Cristo sanguinante sulla Croce che verrà posto sopra l'altre del nuovo Oratorio di Caposile. Con le braccia stese chiamerà i viventi alla, preghiera e al ricordo dei morti; e a questo appello un popolo di morti scuoterà il leggero velo di terra, e verrà lui pure, a prostrarsi dinanzi all’altare del Dio vivente, per udire un'altra volta quella parola di fede che sostenne il soldato italiano fra il lampeggiare delle spade e la tempesta della mitraglia: «Il giorno della tua risurrezione non è lontano!».
Caposile di Musile, 27 Gennaio 1924
Sac. Dott. C. Chimenton